Abbiamo 191 miliardi da spendere entro il 2026. Il saggista Roger Abravanel ha affermato qualche giorno fa ai microfoni di “SkyTg24” che il PNRR rischia di diventare una droga che ci distrae dai veri problemi dell’Europa, come avvenuto da noi negli anni 80: «allora non ci siamo accorti del debito pubblico che iniziava ad aumentare a partire dalla seconda metà degli anni 70 eppure continuavano ad essere ricchi, eravamo forti nel manifatturiero. Ci siamo fermati quando l’economia è iniziata a cambiare – ha spiegato – Personalmente, sono a favore del PNRR e a Draghi va il merito di aver strutturato bene le idee, ma si tratta di investimenti pubblici: non sono questi che fanno crescere l’economia. Ci vuole una politica industriale che trascini e questo purtroppo nel PNRR manca. Sarebbe stato meglio scegliere 4 – 5 atenei migliori e investire su quelli, per dargli la giusta autonomia. Altro esempio è quello della politica nei confronti delle aziende: Draghi e i suoi consulenti sono degli ultraliberisti che hanno paura di avere lo Stato troppo presente nelle aziende. L’Italia non è un paese per “manager”, non accetta competizione».
Invece l’ex parlamentare Lucio Barani ha affermato che la magistratura qui da noi blocca qualunque cosa perché è autoreferenziale e che ci sono due ordini di problemi: la mancanza di competenze e di manodopera, col conseguente rischio che, se crolla il PNRR, l’Italia possa cadere in una svolta molto pericolosa.